Gli oscuri frantumi di Charles Burns 3/4

Terzo frantume: Ri/cerca

Rimbalzando tra “Raw” e “Alter”, la due riviste che, negli Stati Uniti e in Italia, gli offrono prestigiosi spazi di pubblicazione, Charles Burns inizia ad affastellare segni e racconti. Presto alle due riviste si affianca “Heavy Metal”, filiazione statunitense – piuttosto impura – della francese “Métal Hurlant”, con cui inizia a collaborare dal 1983.
La lettura più superficiale dei lavori di Burns coglie solo l’ossessione citazionista, la riscrittura intertestuale e la commistione di generi postmodernista. L’inserto Valvoline pubblicato sul numero di “Alter” del dicembre 1984 è dedicato prevalentemente al nostro e, nell’articolo d’apertura firmato Margherita Angelus, si legge: “Charles Burns è uno che alla televisione guarda tanti film, quelli che i network ripescano chissà dove per saturare le interminabili ore di programmazione. Un répechage involontariamente culturale e ormai financo snob. Sì perché ormai da inequivocabili segnali i B movies non rimarranno più a lungo in seconda divisione”.

Valvoline vive all’incrocio dei linguaggi visivi e tutt’attorno ci sono gli anni Ottanta. La necessità di nobilitare letteratura di genere e produzioni a investimenti contenuti è assolutamente comprensibile. Così come si può capire la forte volontà di affiancare cinema e fumetto, mostrando quanto il secondo possa emulare il primo. E’ lo spirito dei tempi: pervade tutti.

Ma nei segni neri e profondi di Burns c’è di più. C’è la strenua volontà di raccontare i frammenti (i frantumi) della provincia statunitense, vissuti dall’autore negli anni della formazione, che si mescolano a un immaginario visivo consolidatosi sulle pagine sottili e coloratissime dei comic book, sulla superficie vitrea dei televisori che iniziano ad apparire nelle case e sugli schermi remoti dei cinema e dei drive in. Un immaginario che noi lontanissimi italiani avremmo riscoperto leggendo Joe R. Lansdale (prima che ci prendesse per sfinimento).

Burns è tra i migliori cantori della sua generazione; così come lo sono, per esempio, Stephen King per la generazione precedente e David Lapham per quella successiva.

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I racconti apparsi sulle riviste vengono raccolti in tre volumi (attualmente in catalogo Fantagraphics): Skin Deep, uscito in Italia con il titolo Sotto pelle, per la Phoenix; El Borbah, che raccoglie inverosimili racconti hard boiled che hanno come protagonista un investigatore che è anche un lottatore mascherato di wrestling; e Big Baby, con il racconto del campeggio che continuo a trovare estremamente disturbante.

Nel 1995, Charles Burns inizia a pubblicare una serie di 12 comic book, Black Hole, con la casa editrice Kitchen Sink (cui dovremmo essere debitori almeno per il recupero e la pubblicazione sistematizzata di Will Eisner e Harvey Kurtzman). Si tratta di albetti stampati su una carta, pesante e patinata, che rende giustizia ai meravigliosi neri di Burns. I problemi di Denis Kitchen – una storia di dissidi tra soci – portano all’interruzione della serie con il quarto numero (e alla chiusura di Kitchen Sink). La proseguirà Fantagraphics. Ci vorranno undici anni per poter leggere, nella sua interezza, Black Hole, il capolavoro di Burns.
In estrema sintesi, in questo fumetto (in Italia è raccolto in un volume Coconino) c’è uno strano virus che si trasmette sessualmente e colpisce solo gli adolescenti. Questo virus trasforma le carni dei ragazzi che già si ritrovano a dover convivere con i brutti scherzi che gioca loro un corpo in sviluppo. Gli adolescenti di Black Hole si trasformano e mostruosi lo diventano veramente.

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