Gli oscuri frantumi di Charles Burns 4/4

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0. Il prossimo frammento che andrà a comporre la bibliografia di Charles Burns è un fumetto a colori in cui l’autore intende usare un segno più sintetico e più vicino alla ligne claire. Parlandone, Burns cita Hergé, l’autore di Tintin, quale riferimento visivo principale.

1. La grandezza di un narratore mica si può misurare usando come indicatore di dimensionamento il numero di pagine prodotte. C’è gente che entra nella storie del fumetto con una storiella di otto pagine (è il caso di Richard McGuire con Here) e altra che ne varca la soglia con una montagna di storie (un caso per tutti è Osamu Tezuka). Dall’altra parte, c’è tantissima gente, cui magari i libri di agiografia del fumetto riservano un sacco di spazio, che però nella storia del racconto visivo non lascerà traccia alcuna (qui scegliere un unico esempio è molto più difficile e mi appello all’insegnamento di Jorge Luis Borges: “l’oblio è la miglior vendetta”).

2. Detto questo, Charles Burnes mica è lento. Fa un sacco di altre cose che mi interessano meno ma cui riconosco una grandissima dignità. E’ il caso delle copertine di “Believer” e di “McSweeney’s”, dei cartoni animati (Peur(s) du noir, ma anche la campagna per Altoids o gli esperimenti per MTV), dei libri di fotografia (One Eye), delle copertine dei CD (Brick by Brick di Iggy Pop),…

3. Tra i lavori laterali ce n’è uno che amo alla follia. Si chiama Face-tasm, è uscito nel 1998 per Gates of Heck e in copertina affianca i nomi di Charles Burns e di Gary Panter. E’ un oggettino di rara bellezza che mostro a tutti i miei amici, vantandomene. Ci sono 18 volti mostruosi disegnati, alternatamente, da Burns e da Panter. Ogni viso è disegnato sia sul fronte che sul retro della pagina a esso destinata. Ogni pagina è tagliata in tre strisce: indicativamente una striscia per la fronte, una per gli occhi e per il naso e una per la bocca. Il libretto è legato con una spirale metallica che consente di sfogliare i tre moduli che lo compongono indipendentemente. Appartiene a una categoria di oggetti editoriali giocosi e destinati ai bambini che hanno, nel mercato statunitense, una discreta diffusione, con il nome di mix and match books. Combinare i volti di Face-tasm in maniera incongrua, mescolando i segni distantissimi dei due autori, è un piacere sottile che non si può descrivere con le parole.

4. In Italia Charles Burns ha influenzato un bel po’ di autori. Cito solo i due su cui, secondo me, ha prodotto gli effetti più distanti: Roberto Baldazzini, che a un certo punto nella prima metà degli anni novanta ha raggiunto un segno sublime per poi affogare in una noiosissima rappresentazione di maniera della sessualità, e Francesca Ghermandi, che ha metabolizzato quel segno fino a polverizzarlo completamente nel frullatore del suo immaginario visivo.

5. Matt Groening, amico di Burns ai tempi di Evergreen, ci è andato anche lui, almeno una volta, a Roma. Lo raccontava Filippo Scòzzari durante uno dei Lucca comics talks di quest’anno. Pare che l’inventore dei Simpson sia arrivato con dei documenti, abbia bussato alla porta di Massimo Mattioli e sia riuscito a ottenere un’ingenuissima firma su un contratto di cessione. Questo spiegherebbe come mai Fichetto e Grattachecca assomigliano così tanto al gatto e al topo di Squeak the Mouse. Scòzzari si raccomandava di non raccontare in giro la cosa in presenza di Mattioli: pare sia molto sensibile sulla questione.

6 pensieri su “Gli oscuri frantumi di Charles Burns 4/4

  1. Gran bell’articolo. Proprio in questi giorni sto leggendo “Black Hole”, dunque sono felice di averti letto.
    Mi sorgono però due interrogativi:
    1- Pensi che recuperare i numeri di “Raw” senza spenderci troppo sia una impresa fattibile? Non so né quanto potrebbero valere né chi potrebbe venderli delle librerie a cui accenni. Ogni consiglio è dunque prezioso.
    2- E’ vera la cosa di Groening?

    Snàp

  2. 1. secondo me ti costano un rene. Io ne ho 4 e li ho trovati in giro (un paio – grande formato – negli usa (in una libreria dell’usato a tucson) e un paio – piccoli – alla borsa del fumetto a milano). Cercherei su ebay.
    2. Scòzzari dice di sì.

    Ciao
    p

  3. Nel 1980, spiegelman e mouly pensano questa rivista in formato gigantesco. E’ una rivista d’arte enorme che viene venduta in circuiti dedicati e pubblica i fumetti – e gli articoli – in grandissimo formato (quasi un A2). Tra quelle pagine viene custodito un inserto di formato più piccolo che pubblica, un capitolo alla volta, Maus.
    Raw è enorme per quasi tutti gli anni 80. Nell’89, spieg e mouly hanno la possibilità di cambiare distribuzione e visibilità (nel frattempo, nel 1986, è uscito il primo volume di maus per pantheon/randomhouse) e fanno uscire la rivista in formato piccolo (esattamente il formato di maus) per penguin.

  4. Oh, grazie. Ecco, questa cosa del formato la ignoravo, credevo fosse qualcosa di più “portatile”. Vedrò anch’io di fare un giro a Milano per capire se si trova ancora qualcosa (di reni tanto ne ho due).

    Snàp

  5. Negli anni novanta li aveva anche la Feltrinelli di Bologna. Costavano tantissimo, anche a causa del cambio dollaro/lira dell’import librario, che è sempre stato semidelinquenziale.

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